Cari amici,
camminando dentro i boschi calabresi è possibile imbattersi in Pini che presentano ampie porzioni mancanti. Se si osservano bene, queste presentano i colpi ripetuti della scure.
Si tratta di alberi, per lo più Pini laricio, dal cui legno venivano ricavate ampie schegge a cui veniva dato il nome di "teda" o raramente "deda": un frammento di legno o un piccolo ramo resinoso al quale veniva dato fuoco e che serviva per illuminare le dense notti montane.
In Aspromonte, nella sua parte di arcaica e misteriosa, nella parte di più selvaggia e sacra l'uso della teda era abbastanza diffuso. Ne fa una bellissima descrizione Saverio Strati nell'omonimo romanzo "La teda" da cui: "La Teda ardeva con una fiamma viva, proiettando ombre danzanti sulle pareti della casa. La sua luce calda e tremolante non solo illuminava la stanza, ma sembrava accendere i cuori di chi vi abitava, portando un senso di calore e speranza in mezzo alla notte scura." Nell'agro di Africo dove il romanzo è trasposto la teda è un'usanza che si poteva rinvenire sino a qualche decennio fa.
In foto: un Pino nei pressi di Croce di Dio Sia Lodato, Aspromonte orientale.
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