lunedì 15 aprile 2024

NARDODIPACE E I MEGALITI


Tra il profumo della ginestra e gli umori della terra siamo stati a Nardodipace, il paese più povero d'Italia. Poco meno di cinque persone vivono nel vecchio paese unite da un budello di asfalto alle poco più delle quattrocento che sopravvivono nel nuovo. Abbiamo camminato nelle pinete, nelle leccete, tra aceri e cedri, lungo una via precipite sul vallone dell'Allaro. I geositi: la parte meno interessante. La Tv, che più volte li ha visitati, riesce a costruire un'intera trasmissione sul nulla.




















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Questo lavoro è concesso in licenza con CC BY-NC-ND 4.0


sabato 13 aprile 2024

IL PAESE DEI PAZZI


Ho comprato il libro di Pino Vitaliano dopo aver letto un post su facebook.
Leggo prevalentemente letteratura calabrese e ho pensato che potesse fare al caso mio. Non mi sono sbagliato.

Vitaliano, nel suo libro, ci proietta a Girifalco e la fa vivere e rivivire attraverso i suoi personaggi. Certamente per chi non è del posto a tratti potrebbe avere l'impressione di annoiarsi ma alla fine le storie sono così strane ed interessanti che non si fa in tempo.

La scrittura è magistrale ma non ci si può aspettare di meno da un docente di Filosofia e Storia. Ottima l'impaginazione di Pace Edizioni e la qualità della carta e dei caratteri (non è mai da sottovalutare).
Insomma, bel libro e bella lettura.

ps: ho comprato anche Manicomio, che leggerò.


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mercoledì 10 aprile 2024

L'IMPENSABILE PER UN LUOGO DI CULTURA


Le emozioni che ho provato oggi, quando mi sono trovato di fronte questa immagine, sono state un misto di incredulità e sdegno. Di incredulità perché non deve accadere che il tempio della cultura, una libreria, possa trasformarsi, anche solo per scherzo, in un luogo di barbarie e ghetto; un gesto all’apparenza così banale riporta alla mente le liste di proscrizione, la distruzione e i roghi dei libri. 

Un libro con il verso capovolto richiama immagini nere, di un’epoca fosca e triste (evidentemente quelli che oggi si professano antifascisti sono i veri nostalgici-fascisti). Eventi drammatici che nessun frequentatore di una libreria, nessun amante della scrittura, nessun lettore, nessun uomo di cultura può e deve rievocare.

Il libro è un oggetto sacro. Il libro ha la sacralità delle cose divine perché attraverso le parole che racchiude, attraverso l’odore della carta, degli inchiostri, attraverso lo scorrere delle nostre dita sulle pagine ci riporta in mondi e luoghi lontani. Ci fa vivere e rivivere.

Il libro non va dissacrato. Il libro non va vilipeso, insultato, reso oggetto di scherno. Abbiamo, tutti, il dovere di amare questo oggetto immenso; soprattutto, questo dovere è necessario esplicitarlo rispetto ai libri che non ci piacciono, quelli che troviamo distanti dal nostro pensiero; dobbiamo farlo rispetto ai libri che per noi sono sporchi, il cui contenuto non è il nostro contenuto. Solo così la bile che talune pagine [per noi] contengono verrà digerita, amalgamata ad altri contenuti invisi ed infine espulsa.

Il titolare, avvedutosi di quanto qualche buontempone aveva commesso, si è subito prodigato per sistemare nuovamente il volume nella posizione corretta dimostrandosi all’altezza del fine compito di cui è investito.



AVETE ROTTO IL CAZZO



Ho scoperto, con mio sommo stupore (ma forse non tanto), che Pellaro è piena di genitori “diversamente abili” o meglio storti (così si capisce meglio). Sul lungomare Paolo Latella, che di un mio prozio porta il nome, accanto alla sede della Lega Navale, è stata interamente rifatta l’area giochi per i bimbi (piccoli) ma sfruttata anche, avidamente, da ragazzini che vanno per la maggiore (età).

Questi ragazzi smarriti, evidentemente abituati al brutto e alla pochezza che li circonda, talora accompagnati dai genitori (rigorosamente in SUV, da 60mila euro, parcheggiato direttamente sul marciapiede) stazionano beanti sull’altalena per i bimbi diversamente abili, e tra risa e schiamazzi sono ripresi dal ridente genitore beota (lo stesso del SUV) che postando il video su TikTok o Instagram spera di diventare il nuovo Fedez (o la nuova Ferragni). Peccato che di quest’ultimi manchi tutto, ma proprio tutto, in primis la forma fisica.

Altri sfrecciano, a bordo delle loro biciclette elettriche da 1500€ con sgommate e impennate, proprio tra i pupetti di pochi anni che, ahimè, si spera non li prendano ad esempio. Se nonostante tutto si riesce a sopravvivere a questo sfacelo intellettivo, si deve sempre prestare attenzione a non pestare una delle tante merde di cane che i padroni buontemponi portano a cacare proprio nelle aiuole vicine.

Tutto questo preambolo per dirvelo con quattro semplici parole: AVETE ROTTO IL CAZZO. Vi mancano proprio le basi del vivere civilmente, di quell’educazione basilare che forse avreste dovuto imparare a scuola. I giochi sono di tutti se tutti ci tengono, altrimenti è bene che diventino di pochi.

Il malessere (mio) è acuito dall’atteggiamento degli astanti (tutti gli altri genitori) che al pensiero “tanto dureranno fino a natale” ben si guardano dal dire una parola di richiamo, magari potrebbero offendere il rampollo del “mafiosetto” di turno. Quindi ve lo ripeto: AVETE ROTTO IL CAZZO.

Siete, evidentemente, abituati al peggio: alla spazzatura sparpagliata lungo i bordi delle strade, alle pozzanghere di acqua fetida, ai marciapiedi dissestati, alle aiuole incolte, ma soprattutto siete abituati al brutto. È il senso estetico che vi manca. Dunque, anche se girate in SUV e vestite Armani siete e rimarrete sempre dei cafonazzi.

Per concludere: basterebbe recintare l’area e affidarla ad un’associazione (anche di anziani), i bambini potrebbero entrare solo accompagnati da un adulto e solo dopo il versamento di un piccolo ticket (un euro) o un abbonamento di 10€ mensili, questo consentirebbe la manutenzione e la pulizia. Capisco che è chiedere troppo, quell’euro è meglio spenderlo a figurine, merendine e sigarette.

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martedì 9 aprile 2024

"MI CHIAMI?"


Ieri sera il mio piccolo Sasà, poco prima di addormentarsi, mi chiede: “Papà, mi chiami Sasà?”.
Questo piccolo pensiero, che sembra nulla, racchiude nella sua semplicità tutta la nostra essenza. Tutto l’essere. Ciò che siamo e ciò che un giorno non saremo più.
Un nome.
Noi calabresi siamo molto affezionati ai nomi, abbiamo dato un nome a qualsiasi cosa e qualsiasi luogo. Prendete, se ne avete il tempo, una carta topografica. In Calabria, molto più che in altre regioni, ogni luogo ha un proprio nome e questo per essere conosciuto, ricordato. Attribuire un nome ad un luogo, un fiore, uno scarabeo è attribuirgli importanza. Riconoscerlo. Sapere che esiste.
In quella semplice richiesta: “Papà, mi chiami Sasà?” è racchiusa la volontà di essere riconosciuto. Di esistere.
Ricordo una volta in sala settoria.
Un naufragio, sette ragazzini stesi sui tavoli.
Quattro erano “senza nome”.
“Senza nome”.
Persone senza nome, il supremo oblio.
Una ragazza "senza nome" aveva, tra gli slip ben custodite perché non si bagnassero, le foto di tre bambini piccoli, forse i figlioletti. Foto senza nome. Anche loro e il loro ricordo condannati all’oblio.
Un nome racchiude in sé una vita, sentimenti, luoghi, profumi, persone. Noi siamo in quanto abbiamo un nome, senza siamo tenebra ed oblio.


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ERRANZA TRA I GIGANTI DI SIMMERINO


Mentre camminiamo in questa fortezza di maestosi pini: siamo soli. Ci avviciniamo e scambiamo qualche pensiero e poi di nuovo il silenzio, siamo gli estremi di una fisarmonica stirati dal passo del nostro cammino. In realtà, i maestosi Pini ci sorvegliano e ci accompagnano nei nostri passi e ci parlano attraverso gli scricchiolii del legno dei loro fusti, lo stormire delle foglie sprimacciate dal vento, c’è il picchiettio di un picchio in lontananza: stiamo, dunque, camminando all’interno di una poesia. I primi chilometri ci sorprendono fulgenti raggi di sole che violano la volta della foresta per colpirci e poi i muschi aulenti con le loro capsule che portano su esili fili per nascondere il segreto più grande. Camminiamo, circondati da giganti contorti che sono centinaia di anni di sole, acqua, zucchero. Su un vecchio pero che costeggia la mulattiera la corteccia è ricoperta di licheni: rossi, gialli, grigi, verdi, neri. Un arcobaleno di vita. Tra questi uno è verde acqua, pendulo, ricco di piccole coppette proiettate al cielo. Lo accarezzo piano: è un essere immenso che è unione di due esseri che per vivere si sono intrecciati e hanno bisogno l’uno dell’altro. A giudicare dalla grandezza avrà cinquanta forse cento anni, un essere vetusto, lento, riflessivo, bello. Un essere semplice e perciò poetico. Ci siamo riempiti di bellezza e poesia.
















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domenica 7 aprile 2024

AI MIEI FIGLI

È difficile dirvi
con parole di padre

che la Robinia è in fiore,
e questo profumo di miele
mescolato al salino
sferza oggi i vicoli
del nostro paesino.
Mi riporta alla mente
un ricordo lontano:
mio padre e mia madre
tenersi per mano.
Correre, ridere e rincorrersi un poco,
scambiarsi dei baci
più forti del fuoco.
Poi, torno al presente e so
che è un falso ricordo,
forse solo un desiderio
di un bambino incolto.
Ma adesso io son padre
e a voi due dico:
quello che non è vissuto
non è mai esistito.
Esisto adesso,
che vi guardo negli occhi
e so che non ho più bisogno
di quei falsi ricordi.
Esisto adesso,
mentre vi stringo sul petto,
Sasà e Alice
oasi nel mio deserto.

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Pellaro, 07 apr 2024
#poesia