domenica 24 dicembre 2017

Escursione Santa Lucia - San Pantaleone - Lapse

L'escursione si articola sulla mezza costa ionica, in area grecanica, tra le bellissime vallate di San Carlo e San Pantaleone. Una leggera ma costante salita, prelude ad un'intensa discesa, tra costoni rocciosi e piantagioni d'ulivo. 

un allevamento caprino caratteristico della zona

in lontananza l'Amendolea

Pentedattilo e Rocche di Santa Lena

ruderi

abbeveratori

Amendolea e Bova

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Reggio Calabria
24.12.2017

giovedì 7 dicembre 2017

Carrera - Monumento Vitale GEA

Piacevole escursione che si articola tra la frazione Carrera e la frazione Monumento Vitale zona A del Parco Nazionale d'Aspromonte.

Sentiero 108/102






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Cammina con noi
GEA - Gruppo Escursionisti d'Aspromonte

mercoledì 29 novembre 2017

Africo. Il paese più disgraziato della Calabria

La visita ad Africo, paese abbandonato nel 1951 è una delle più suggestive esperienze che è possibile fare in Aspromonte. Attraverso il Sentiero 113 tracciato da GEA (Ghorio di Roghudi - Africo - Casello Varì) è possibile in poche ore raggiungere da Passo Cancello i ruderi dell’abitato. 

sentiero 113

Africo, il paese della Calabria dimenticato da Dio. 

Il nome sembrerebbe derivare dal greco apricos o dal latino apricus che significa aperto, luminoso, esposto al sole una sorta di contrappasso visto il reale luogo dove il paese sorgeva; infatti l’abitato di Africo è stato edificato in un luogo isolato e chiuso tra il torrente Casalinuovo e l’Aposcipo. Un paese legato all’acqua come il suo Santo, San Leo che con l’acqua e attraverso l’acqua compiva i propri miracoli liberando e guarendo posseduti, ossessi e dementi. San Leo il santo della “pece” dal miracolo che gli valse la santità quando in un periodo di carestia riuscì, miracolosamente appunto, a trasformare la pece in pane. Quel pane “nero” che ricorda proprio la pece e che Zanotti Bianco ritrova durante il suo soggiorno. Il “pane di mischio” fatto da farina di lenticchie e orzo; talora anche con le ghiande sottratte ai maiali. 

la chiesa

piazza antistante

la scuola

particolare della facciata

abitazione contigua alla scuola

Una storia di rovine e di abitudini alle rovine come scrive Vito Teti ne “Il senso dei luoghi”. Zanotti bianco nel 1928 si ritrova catapultato in una realtà di miseria profonda, di assenza di cultura, di assenza di arte. La popolazione che il conte trova, abita ambienti angusti, di pochi metri, con letti di pagliericcio. Le condizioni igieniche sono inesistenti, animali e persone condividono gli stessi luoghi. Malaria, tubercolosi, tracoma affliggono e decimano la popolazione. Le viuzze del paese sono putride e viscide sembra quasi che la popolazione del posto non aspetti altro che perire. 

abitato

interno della chiesa

La situazione non migliora nemmeno 20 anni dopo quando Tino Petrelli, fotografo, insieme al pubblicista Tommaso Besozzi pubblicano per l’agenzia milanese Publifoto un reportage sulle condizioni di vita del piccolo paese aspromontano. Gli inviati trovano un paese identico a quello già descritto da Zanotti Bianco senza luce, acqua, senza botteghe né locande con le persone che vivono assieme alle bestie incapaci di produrre vino, olio o qualsivoglia alimento. Ad Africo non si vive si sopravvive. Besozzi definisce Africo “il più povero, il più triste, il più infelice di tutta la Calabria”.  Triste ecco la parola giusta perché si viene avvolti da una tristezza mistica mentre si cammina tra le strette viuzze. 

Africo 1948. Tino Petrelli

Africo 1948. Tino Petrelli

Africo 1948. Tino Petrelli

Africo 1948. Tino Petrelli

Sembra quasi che la pioggia che si abbatte tra domenica 11 novembre e giovedì 14 novembre del 1951 sia la punizione divina per l’ignavia di quel popolo. Frana la montagna che sovrasta l’abitato, muoiono decine di bestie e tre persone, le case crollano, la gente si rifugia all'interno della chiesa. Pregano. Pregano San Leo, il santo dell’acqua. 

Chiesa di San Leo

Oggi di quella storia restano poche testimonianze e del paese solo qualche rudere. La maggior parte dell’abitato è avvolto dai rovi quasi a inglobare per sempre quei posti. Rimane la chiesa e la piazza antistante, qualche casa e la scuola. Singolare è il cimitero le cui tombe sono state divelte e violate, alcune crollate per l’incuria. 

ruderi 
le antiche viuzze
Africo “paese fantasma". Non mi piace l'etichetta "fantasma", sarebbe meglio definirlo per cosa è realmente: ruderi. Ruderi e rovi. Quei ruderi che celano la memoria di un inglorioso passato devono essere visti, visitatati e valorizzati, no perché rappresentano uno scorcio di storia da conservare, proteggere e valorizzare ma perché restino a monito di quello che non dobbiamo più essere. Ultimi tra gli ultimi.  Relitti tra i relitti. Ruderi tra i ruderi.

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Reggio Calabria,
29 Novembre 2017

domenica 12 novembre 2017

Io sono Francesco - Io sono Sconosciuto: morire di migrazione

Si sale lentamente verso Armo tra ulivi e mandorli, i tornanti sempre più stretti si abbarbicano ad un paesino sulle colline che sovrasta il reggino. E’ un paese di poche anime, forse oramai restano solo anziani e qualche giovane che a corto di denaro ha optato per rimanere allocato in una casa costruita dal padre e mai rifinita, per lo meno esternamente. 

Conosco bene quei posti. Sono stati i posti che per diversi anni ho passato le mie giornate. Ho camminato tra quei terrazzamenti tutti uguali, ho visto le scarpate ai bordi delle strade stuprate da ogni genere di rifiuto. Da Gallina è un lento risalire attraverso contrade sempre uguali a se stesse, uguali a decenni di distanza. Forse qualche panificio in più. Stesse fontane, stesse chiese, stesse facce. Aristotele pensava che il tempo fosse la misura del cambiamento, se davvero fosse così lì a Puzzi, ad Armo il tempo deve essersi inceppato. 

E se il tempo si ferma per i vivi, che (soprav)vivono uguali a se stessi a maggior ragione è fermo per i morti. Il cimitero di Armo è sempre lo stesso. Certo, sono state costruite cappelle più grandi, nuove, con marmi colorati quasi a voler colorare il grigio del tempo che non è più. 

E’ una caratteristica di molti paesi dell’entroterra, i cimiteri sono collocati immediatamente prima di arrivare al centro del paese, prima di varcare le porte ad oggi immaginarie dei vecchi borghi.

Il cimitero di Armo è piccolo. Una piccola cancellata ti consente di entrare nel mondo dei morti, lì dove il tempo non esiste, si scompone, dove muore il tempo stesso.

Oggi ci sono stato, lì al cimitero di Armo. No per trovare un parente, un amico, un conoscente. Non penso serva dimostrare affetto per chi portiamo sempre dentro. Io al cimitero non ci vado mai. Non serve per chi hai amato. 

Sono stato lì per e nel “cimitero dei migranti”. 

Così lo hanno chiamato le testate giornalistiche Corriere, Repubblica, l’Unità. Dicono sia il primo in Italia e forse è vero. 

Entri, percorri qualche metro tra i loculi ridondanti di fiori, quasi oppresso dall’altezza di queste case dei morti, fatte in cemento, posti lì a voler conservare l’inconservabile, l’effimero, un corpo marcescente che si prolunga verde, nero e giallo negli anni. Parenti fermi lì davanti a un pezzo di marmo e una foto. 

Di colpo una radura, è lì il “cimitero dei migranti”. Dieci, venti, trenta, quaranta cumuli di terra, uguali. Poche croci, pochi nomi. Qui giace Myriam morta in mare recuperata dalla nave Iuventa. Qui giace Sconosciuto morto in mare recuperato dalla nave Iuventa. Qui giace Sconosciuta recuperata in acque internazionali e così via. Pochi fiori. 

Nessuno fermo lì. 

San Paolo diceva: “Dio sia tutto in tutti”. Io cambierei in “Dio è tutto in tutti” perché tutti siamo nulla e diventiamo nulla nel nulla infinito della morte. Un cambio di coniugazione ma è una sostanziale differenza. 

Molti pensano che di migrazione si muoia, che siano i borghi, i paesi, le nostre città, la nostra cultura o quel che ne resta a morire. Ma questo non è vero, di migrazione muore solo chi emigra. Chi “Sconosciuto” è chiuso in sacco, con i quattro stracci che indossava e le foto di due bambini conservati negli slip, seppellito su una collina, in una paese di cui ignorava l’esistenza. Lì non lo cercherà nessuno, sarà per sempre “Sconosciuto”. 

Quei bimbi cresceranno, se ne avranno la fortuna, e penseranno che “Sconosciuto” li abbia abbandonati, sia arrivato in Europa, abbia ricostruito la propria vita, cancellandoli. Non sapranno mai che “Sconosciuto” è morto in mare per rincorrere un sogno, una vita “normale” anche per loro. E’ affogato con nulla, è affogato cercando di proteggere quello che aveva di più caro. Due foto. 

Una fotografia congela il tempo e dilata lo spazio, diventa l’unico bene di chi non ha più alcun bene. 

Se vi capita saliteci al “cimitero dei migranti” e portateci i vostri figli. Leggetegli la storia di sconosciuto e dei suoi bambini, magari per una volta riuscirete a insegnarli qualcosa.







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12 Novembre 2017

I Passi del Camaleonte

Cari amici,

da oggi su IBS e su Amazon è disponibile il mio libro - I Passi del Camaleonte - una raccolta di poesie che si snoda tra passato e presente.

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Descrizione

Le poesie non devono essere belle, devono essere utili, e lo sono quando riescono a trasmettere qualcosa, qualsiasi cosa che riesca a far scoccare la scintilla nel lettore. Questa raccolta è mutazione, sviluppo, genesi di emozioni vissute e immaginate. Il mondo immanente di tutti i giorni si scontra con la voglia di trascendenza che accompagna la vita, talora inconsciamente, di ognuno di noi. La ragione e il desiderio sono alla base di questi versi tra sentimenti ridondanti e nuove spinte emotive che solo il lettore appassionato e attento potrà scoprire e capire. Ed ecco che il titolo "I passi del camaleonte" richiama il rettile che nobilmente e meglio di qualsiasi altro simboleggia il mutamento. I suoi passi sembrano incerti, dinoccolato e senza fretta, attraverso la fitta vegetazione giunge con sue le sottile zampe filiformi alla sua meta. E il mondo gira attorno.

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per chi fosse interessato è disponibile su IBS e su Amazon.


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venerdì 10 novembre 2017

Viaggio nell'Invisibile - EPI

Se Epì è uno spazio per “andare oltre”, per guardare al di là dei nostri “stretti” confini allora la rubricaEpìQuark non può trovare migliore inaugurazione che con un mini-viaggio nell’invisibile, nel micromondo all’interno di una goccia d’acqua dove la differenza tra preda e predatore che tutti siamo abituati a riconoscere e vedere nei documentari di National Geographic si eleva al di sopra di ogni nostra immaginazione; imbarcatevi dunque con me su Notula una microscopica navicella, che attraverso le lenti di un microscopio, guiderò alla scoperta del popolo invisibile delle acque stagnanti.

Il Laghetto delle Ginestre nel comune di San Roberto è un meraviglioso specchio d’acqua che si apre pochi chilometri a valle del meglio e più conosciuto Laghetto Rumia, invaso artificiale adibito da qualche anno a vasca di svernamento per trote e per la pesca sportiva. Il Laghetto delle Ginestre prende il suo nome, sembra scontato dirlo, dall’abbondante flora che circonda lo specchio d’acqua caratterizzata appunto da diverse specie di Spartium sp. e Cytisus sp. due tra le “ginestre” più comuni in Aspromonte. Ma questo luogo fantastico, incastonato tra i monti del parco, ci fa anche un altro regalo: infatti sulle sue acque è possibile riconoscere diverse piante di Ninfea (Nymphaea sp.), pianta assolutamente poco comune e sicuramente difficile da incontrare in ambiente naturale.

Questo è quello che di immediatamente visibile, il Laghetto delle Ginestre, ci regala; è proprio da qui che il nostro fantastico viaggio a bordo di Notula, alla scoperta dell’invisibile, ha inizio, dal “fango” appena al di sotto del pelo d’acqua vicino le sponde. E’ lì che attraverso un contagocce è possibile prelevare pochi cc d’acqua, i quali all’interno ci sveleranno un mondo fantastico, un universo parallelo nel quale è possibile incontrare creature mitologiche, fiere e belve pronte a dominare i nostri sogni.




Notula è pronta, il raggio rimpicciolente anche, il vetrino con una goccia d’acqua steso sul tavolino del microscopio, la luce accesa. Conto alla rovescia 10, 9, 8 … si parte. Siamo catapultati all’interno dell’acqua ma sembra più un gel denso, è così che il popolo invisibile deve percepirlo. In questo gel è solo grazie ai nostri motori a getto che è possibile muoverci. Un suono d’allarme ci desta, non riusciamo a capire cos’è ma Notula è spinta di fianco, gira, rigira sembra impazzita, la governo a stento. Siamo in un vortice, unica chance per salvarci è usare sin da subito il nostro scudo immobilizzante, lo accendo. Non vediamo nulla, giriamo velocemente quando ad un tratto è tutto finito, calma, la navicella con un colpo alla cloche è dritta. Guardiamo fuori e non possiamo crederci, siamo di fronte a un mostro mitologico, il corpo allungato assomiglia a un imbuto, migliaia di filamenti (le cilia) battono all’unisono circondando una bocca gigante (il citostoma), ingurgita senza tregua navicule, batteri e spirilli. Siamo salvi per un pelo e grazie al nostro scudo possiamo avvicinarci e osservarlo. Una bava densa lo ancóra alla superficie di un masso enorme che in realtà è un minuscolo granello di sabbia del lago, ma ingrandito 400 volte sembra una montagna. Lo riconosco è Stentor polymorphus o conosciuto dai biologi come “animaletto verde a tromba”. Le sue dimensioni quando è completamente disteso possono sfiorare un mm (!!!). Ci giriamo intorno, il mostro ha il corpo trasparente e al suo interno oltre i piccoli organismi che si è divorato per cercare di saziare la sua fame “insaziabile” è possibile notare piccole “palline” verdi: sono le zooclorelle piccole alghe simbionti che vivono al suo interno. Ancora qualche giro per osservarlo meglio, scattare qualche foto e via, sfioriamo la sua “pelle”, passiamo tra le cilia, siamo lontani. (Continua...)





mercoledì 1 novembre 2017

La vita in 40 secondi


Se il tempo della vita sulla terra fosse rappresentato da "un anno" il primo fiore sboccerebbe il 20 dicembre mentre l'Homo sapiens farebbe la sua apparizione solo il 31 dicembre, ore 23:37...

La vita in 40 secondi. Buona visione



sabato 21 ottobre 2017

S'è impiccata la mamma

si alza in silenzio
la mamma assonnata
un bacio d’addio
al figlio che dorme

bacia il marito
che schiude gli occhi
lei si allontana
e chiude le porte

all’interno del bagno
sfila la corda
accappatoio verde
appeso alla porta

annoda d’un capo
al tubo di piombo
all’altro lo scorsoio
è già pronto

stringe il collo
contrae lo spasmo
piscia a terra
e tutto di fianco

è silenzio

si alza l’amore
della sua vita
non sente rumore
per lei è finita

entra nel buio
urta qualcosa
è la mamma sua
che penzola sopra

s’è impiccata la mamma

giace sul tavolo
dell’obitorio
è tutto pronto
per il lavoro

le foto son fatte
la festa è finita
la lunga incisione
che spacca la vita

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dalla raccolta "Obitori"
21 Ott 2017

Emigranti


<<Io quando sono qui vorrei essere in America e quando ero in America, tutte le notti sognavo la mia casa. Questa terra bruciata ci perseguita e non ci lascia dormire in capo al mondo. Cosa avevo lasciato qui io? Miseria! Eppure queste brutte strade sporche, queste case, questi orti gli avevo sempre davanti agli occhi. 

Che cosa aveva, dunque, in sé quella terra per conquistare il cuore, per essere ricordata e rimpianta in ogni angolo di mondo, dove si trovano errabondi i suoi figli in cerca di lavoro e di pane? Nessuno l'avrebbe saputo dire, se non forse il cuore. 

In quella terra così varia e pittoresca, piena di contrasti, apparentemente povera e intimamente ricca, saporosa, grave e soave, c'era una certa rispondenza con la vita e l'anima dei suoi abitanti.>>

da Lettere Meridiane: Francesco Bevilacqua
tratto da Emigranti di Francesco Perri

un gregge di capre ai Campi di Bova

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21 Ottobre 2017
Pellaro

mercoledì 18 ottobre 2017

Ognuno di noi è Pino o Quercia, non si può essere entrambi - Frammenti 2.0

Ho vissuto anni in una casa non mia ma sentendola tale ed è così che si cresce, già sapendo che prima o poi te ne dovrai andare, lontano.  Nascere in certi luoghi è una malattia. All’inizio non te ne rendi conto, quando sei ragazzino, i profumi, i colori, il mare, il verde e il giallo delle tue montagne ti entrano dentro, piano piano, e poi lì quando meno te lo aspetti, come un cancro comincia ad eroderti dentro non appena ti allontani. 

Non te ne accorgi subito; la melanconia caratteristica dei calabresi di fine ‘800 così arresi agli eventi del tempo, a quel fatale destino che li vedeva prigionieri della loro terra adesso pervade chi da questa terra deve andare via. 

La mia vita è cambiata così in un lampo, il cane, la nonna, mio fratello, la piccola casa a l’ultimo piano di uno stabile affacciato sullo stretto e poi il campanile della chiesa, il vecchio campo di calcio, il negozio di motorini, la strada principale, un via vai di macchine, moto, biciclette. Mi affacciavo e rivedevo tre bambini rincorrersi con le biciclette Atala, rossa, blu e gialla regalate dal nonno. 
Poi tutto cambia. 

Adesso ho una casa grande il doppio, un gatto, una bici elettrica, mio fratello lontano e mia nonna che non so nemmeno dove sia. E’ cosi la vita, diceva mio nonno: “mi è passata e nemmeno me ne sono accorto”. Poi è morto. E poi si muore. 

Gli uomini sono come gli alberi: ci sono i Pini che hanno radici superficiali, spaccano l’asfalto e creano bozzi, sfasciano e crepano i muri ma se il vento è forte non possono reggere al lungo e cosi si piegano e cadono. Poi ci sono le Querce che non minano l’asfalto e non screpolano i muri ma hanno radici profonde e resistono, resistono, resistono alle tempeste. Li ritrovi lì, rinnovati, magari con qualche foglia in meno ma a casa loro. 

Ognuno di noi è Pino o Quercia, non si può essere entrambi. 
E questa terra bastarda ha bisogno, ingrata e maledetta che ti fa innamorare ma ti rigurgita via, quasi a volersi tenere il peggio, chi gli fa male. Questa terra infame vuole Pini perché li può piegare, inclinare e uccidere, non vuole le Querce. 

Io sono Quercia. 



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18 Ottobre 2017
Pellaro

lunedì 16 ottobre 2017

"Farfalle al Castello" e la fame di cultura di questa città

Reggio ha fame di cultura e quando questa è servita alla città, i reggini se ne cibano. Avidi. 

E’ quanto accaduto con la mostra “Farfalle al Castello” che si è conclusa ieri e ha visto riprodotta, all’interno di una delle torri del Castello Aragonese, una foresta pluviale in miniatura dove tra Ficus e Bromelie svolazzavano centinaia di pregiatissimi lepidotteri provenienti per lo più da Asia e Africa. Cosi da un’idea di due studiosi reggini, due ragazzi reggini, che la fame di cultura e di conoscenza che questa città dimostra attraverso i tantissimi giovani che hanno deciso di mettersi in fila per “conoscere” viene in parte saziata. 

Non è possibile conoscere senza “amare” e dunque l’amore per la natura che deve essere trasmesso alle nuove generazioni di ragazzi che hanno affollato questa mostra deve rappresentare il volano per nuove iniziative che possano coinvolgere e coinvolgerci con entusiasmo fanciullesco. 

Da biologo non ho potuto che apprezzare questa “mostra” che in fin dei conti “mostra” non è stata, perché per la seconda* volta in città è stato dato ampio spazio ad una vera e propria “butterfly house” ma anche e soprattutto viene dato risalto a qualcosa di speciale e meraviglioso come le “farfalle”. Termine poco scientifico ma che racchiude al suo interno un crogiolo di emozioni, costumi, folklore, tradizioni, misticismo e magia ed è di tutto questo che si veniva inondati appena varcata la tenda verde che divideva l’ingresso alla torre dalla farm.
*(mi è stato ricordato dalla mia amica Pia che l'anno scorso questa iniziativa si è tenuta presso il Palazzo della Cultura)

Impossibile non pensare che queste iniziative andrebbero ripetute a ciclo continuo durante tutto l’anno ora con le farfalle ora con i rettili ora con gli anfibi ora con le piante e cosi viva perché aumenti la consapevolezza che la vita si presenta sotto diverse forme, diverse bellezze, diversi colori ma soprattutto si presenta con nomi diversi. Ci vorrebbe una “scuola di nomi” dove venga insegnato a dare un nome a piante e animali perché dare un nome significa riconoscerne il valore e questo rappresentata sicuramente il primo passo da cui muoverci per cominciare a parlare di tutela. 








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16 ottobre 2017
Pellaro

Sentiero Pollia - Delianuova ripristino segnavia

La manutenzione dei segnavia sentieristici è importantissima nell'ottica di una maggiore fruizione della montagna da parte di tutti. Il GEA - Gruppo Escursionisti d'Aspromonte ieri ha ripristinato i segnavia bianco-rossi sul sentiero Pollia - Delianuova.






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17 ottobre 2017
Pellaro

sabato 14 ottobre 2017

Specialista in Microbiologia e Virologia

Era il 13 ottobre 2013 quando con profonda emozione varcavo la porta della Microbiologia del Policlinico di Messina. 
Era il giorno della mia presa di servizio. 

Ieri 13 ottobre 2017 quel percorso lungo 4 anni, costellato da immensi sacrifici, dalle sveglie alle 5 del mattino, degli aliscafi presi di corsa, alle attese del tram sotto la pioggia, al caldo asfissiante delle estati passate in laboratorio, è terminato.
Ho parlato tante volte in pubblico ma ieri mi sono emozionato, mi sono bloccato. Un turbinio di emozioni mi è passato davanti come un treno, tutte in una volta.
Mi porto dietro un bagaglio enorme di emozioni vissute, di ricordi bellissimi e tormenti bruttissimi. 

La specializzazione mi ha regalato tanto, ho imparato moltissimo soprattutto ho capito cosa voglio e devo evitare. Ho imparato come essere ma anche come non essere, ma la cosa più bella di questo percorso è stata Roberta che mi ha sostenuto e incoraggiato, sorretto e aiutato quando ogni cosa sembrava crollare. 
La mia specializzazione è anche merito suo; come lo è di mio padre che mi ha sempre aiutato e incoraggiato in questi anni, di mia madre che nonostante sia lontana ha fatto di tutto per farsi sentire vicina e mio fratello il cui sostegno è stata una forza motrice di questo motore diesel. 

Il pensiero ieri è andato a mia nonna...chissà come sarebbe stata felice.
13 Ottobre 2017 Specialista in Microbiologia e Virologia 70/70 cum laude






14 Ottobre 2017

lunedì 9 ottobre 2017

Escursione Spisone - Taormina - Monte Veneretta

Ho cercato di limitare le emozioni per riuscire a metterle su carta ma quando sei sul monte che sovrasta una delle zone più belle del mondo è difficile, cosi le emozioni si accavallano come le parole e alla fine non esce nulla perché si è talmente pieni che ci s’ingorga, si forma un tappo di lettere, vocali, articoli, aggettivi.

Taormina

Tutte le escursioni dovrebbero essere così. 
Ieri finalmente siamo riusciti a “vivere” l’escursione cosi come deve essere stata concepita dai primi pionieri del cammino. Lenta e viva.
La spiaggia di Spisone con gli scogli frastagliati, la schiuma e le alghe. I colori della mattina, i colori della costa sicula. Saliamo lenti, lungo una piccola gradinata, siamo a pochi metri dal centro di Taormina ma sembra una foresta, dell’uomo pochi segni. Sbuchiamo al campo piano, qui i grandi della terra sono atterrati sui loro elicotteri rumoreggianti a violentare il silenzio che sembra rotto solo dall’infrangersi delle onde sulla battigia.
Siamo a Taormina, ci confondiamo tra i turisti in coda, un cannolo con la ricotta e la granella di pistacchio. Si chiudono gli occhi ma siamo accecati dai sapori e dagli odori. 

Omino di Pietra su Monte Veneretta

Continuiamo su una “via crucis”. Molti turisti, pochissimi italiani. 
Arriviamo in cima ma non siamo stanchi, ridiamo, ci sediamo. Fermiamoci quindici minuti.
Direzione Castelmola ed ecco l’Etna a uno schioppo di dita, sembra si possa toccare, sentire quant’è calda nel ventre, fuma. Gigante.
Saliamo le “scalazze” di Monte Veneretta ognuno con il suo passo, senza fretta, senza corsa, senza ansia. Siamo un gruppo. 
Ci fermiamo, pranziamo e forse per la prima volta è il gruppo a chiedere di “ripartire”.
Monte Veneretta è lì, ci siamo, saliamo, scaliamo, siamo in vetta. Ad accoglierci un omino di pietra, una dischetto della geolocalizzazione e i soliti turisti tedeschi.
Respiro, chiudo gli occhi e li riapro. Mi inondo di odori, il vento trascina gli umori del mare, delle valli sottostati, mi sento vivo. E’ cosi la vita. Orizzonte infinito. La Calabria che gira, la ciminiera di Saline, Pentedattilo, l’Etna, Monte Scuderi, Castelmola, Taormina, Forza d’Agrò e via così senza fine.
Ridiamo, ci coinvolgiamo, scattiamo. Il tempo passa.
E’ già ora di scendere, siamo felici.





guardiamo la vita in faccia

le scalazze di Monte Veneretta 


Credits:
GEA - Gruppo Escursionisti d'Aspromonte
08 Ott 2017

sabato 7 ottobre 2017

Dalla raccolta "Obitori"

Mi accingo a terminare una raccolta di poesie dal titolo: "Obitori".

L'obitorio è un'ambiente angusto, freddo, amaro e lugubre all'interno del quale s'intrecciano storie che non sono storie di morti ma sono storie di vivi. Quel corpo esangue che giace sul freddo acciaio "è stato" o meglio "è "appartenuto in vita a..". Ognuno ha la sua storia e questa raccolta di poesie ne raccolta una piccola parte delle centinaia che ho visto scorrere in questi anni. 

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FORACCHIATO

steso sull’acciaio foracchiato
il corpo umettato 
coperto di brina 
dopo giorni chiuso 
in una cella buia

è li che il tempo 
non è più tempo
occhi grigi senza espressione
guardano il vuoto
trapassano squassano violentano il silenzio

si finisce cosi
toccato, aperto, cucito e lavato
riposto nello zinco

07 Ott 2017


mercoledì 4 ottobre 2017

Scarabei stercorari

La biologia ci insegna che tutto è relativo.
Per questi scarabei [genere Scarabaeus cfr.(semipunctatus?)], ripresi ieri in località Ghorio di Roghudi, una pallina di "cacca" rappresenta una lotteria per il futuro ed ecco perché litigano. 
All'interno vi depongono le uova e le larve che vi nasceranno, al caldo, si svilupperanno e se ne ciberanno. 
Gli scarabei stercorari partecipano attivamente alla dispersione della sostanza organica nell'ambiente. Se non ci fossero vivremmo letteralmente sepolti nel letame.


lunedì 2 ottobre 2017

lunedì 25 settembre 2017

Grotte di Lamia

Durante l’escursione di ieri abbiamo avuto modo di visitare le Grotte della Lamia. Come ogni grotta quello che è possibile osservare e “imparare” va al di là della semplice narrazione aneddotica sulla sua formazione; le grotte ci riservano se lo vogliamo e soprattutto se riusciamo a coglierla la possibilità di far un salto nel passato, agli albori ancestrali dell’origine della vita. Sono una macchina del tempo "biologica".

Le pareti, le formazioni stalattitiche aggrappate alla volta della caverna si rivelano di un colore verde/azzurro erroneamente attribuito alla presenza di metalli o minerali di vari natura (ma di cui nessuno sa mai l’esatta composizione) ed invece dovuto alla presenza di microscopiche forme di vita: le alghe verdi/azzurre o cianobatteri

Questi microrganismi sono stati gli artefici del più catastrofico cambiamento climatico della storia del pianeta conosciuto come Crisi dell'Ossigeno o Grande Evento Ossidativo, che avvenne circa tre miliardi di anni fa, cambiamento che ha modificato per sempre le sorti degli organismi viventi. In una caldera primordiale con un’atmosfera priva di ossigeno questi microrganismi hanno cominciato a produrne in enorme quantità come scarto del loro metabolismo ed a immetterlo in atmosfera. Le enormi masse di ossigeno hanno modificato le sorti del pianeta e consentito l’espansione della vita così come oggi la conosciamo. 

Possiamo tranquillamente affermare che senza i primi microrganismi fotosintetici noi non saremmo qui. 

Dunque toccare con mano la pareti di una caverna come quelle delle Grotte della Lamia è fare un salto nel passato. Raccogliendo qualche campione quello che appare come sottile polvere grigiastra, che si attacca alle mani rivela al microscopio meravigliose forme viventi. Una fra tutte Nostoc sp.

(in figura) Nostoc sp. un cianobatterio unico nel suo genere circondato da una massa gelatinosa e le cui cellule si dispongono a “collana di perle”. Questo genere di batteri, alcune volte, può stringere un rapporto simbiotico con alcuni funghi dando origine a quegli organismi spettacolari ed unici che sono i licheni.  





Questa una semplice e veloce spiegazione. 

Permettetemi adesso una digressione: 

“Sogno un tempo dove ogni guida escursionistica/ambientale sia capace di dare semplici spiegazioni sulla natura che ci circonda, no recuperate da Wikipedia ma che siano frutto di simposi e incontri con specialisti. Il danno arrecato da chi non sa e finge di sapere è enorme perché al passaggio di un’informazione errata corrisponde una tutela dell’ambiente inesistente e talora un danno irreparabile. Non bisogna possedere una laurea per fare del bene all'ambiente e a noi stessi; c’è la necessità tuttavia di riconoscere i meriti acquisiti, le competenze e i traguardi raggiunti da ognuno di noi. Tutti ci possiamo migliorare ma la strada passa necessariamente attraverso degli oggetti fatti di carta e conosciuti con il nome di libri.
Sogno altresì cartelli esplicativi che siano tali, che spieghino attraverso illustrazioni fotografiche cosa rende questi posti cosi speciali. Che possano spiegare che la vita non è solo "macro" ma che è soprattutto "micro".” 

lunedì 28 agosto 2017

Cascate Teresa e Paola


Son Teresa e Paola l’ultimo specchio d’acqua di questa estate passata tra le vallate del mio Aspromonte. Siano due questa volta, gli irriducibili, gli arditi. 
Santa Cristina d’Aspromonte non è proprio dietro l’angolo ma ne vale la pena, almeno così dicono. 

Arriviamo all’imbocco del piccolo sentiero che scende lento accanto ai resti di un vecchio ponte, un odore acre ci avvolge, brucia la gola, pizzicano gli occhi il bosco brucia. 
Lento il pennacchio di fumo si innalza per poi ricadere sospinto verso il basso ad abbracciarci, non era questo il benvenuto che m’aspettavo.





Massi di granito sbarrano il cammino zigzaghiamo a destra e sinistra ora in alto ora in basso, guadiamo, saltiamo e cadiamo. Omini di pietra come totem guardiani del nostro passaggio. 

Ci siamo: “la sento”; eccola Teresa si staglia dal cielo verso il basso in un fragore tumultuoso, nebulizzando l’acqua che Paola da più in alto gli regala. Ci fermiamo, è questa la prima tappa del nostro “viaggio”. Quindici minuti, mezz’ora, un’ora non abbiamo fretta, oggi no.

Cascata Teresa

Totem

Ripartiamo “c’è da salire”. Sembra un’ascesa verso l’inferi la querceta che ci accoglie, secca, arde di foglie macilenti e crepitanti al nostro passaggio, è un attimo e c’è poco da ridere si va giù e il letto è di granito appuntito. Siamo sul crinale adesso si scende, non è un sentiero. Improvvisiamo verso il basso, i rami d’appiglio ci aiutano a scendere. 

La vedi quando sei lì a pochi metri, Paola. Avvolta nell’ombra che si squaglia al sole riscaldando le pietre sotto i piedi nudi, fremiamo per tuffarci. E’ tutta qui la vita.

Cascate Paola