In uno studio pubblicato da un team di ricercatori su Scientific Report del 19 Luglio scorso è stato analizzato il microbioma presente sulle spugnette da cucina proprio quelle utilizzate per lavare i piatti e le superfici.
E’ emerso che per ogni centimetro cubico è possibile rilevare oltre 50 milioni di batteri alcuni potenzialmente pericolosi. All'interno di un ambiente domestico, le cucine ed i bagni possono fungere da "incubatori microbici", a causa della continua inoculazione di nuove cellule batteriche dall’ambiente esterno (mediante nuovi cibi) e dall’ambiente interno (espulsi con le feci) e il successo di colonizzazione di questi batteri dipende da condizioni ambientali, come ad esempio l'umidità e dalla disponibilità di nutrienti particolarmente ricchi nei suddetti ambienti.
Uno studio portato avanti da Ojima e colleghi nel 2002 ha evidenziato come le spugne da cucina siano gli oggetti più “contaminati” della casa albergando il maggior numero di coliformi (batteri che si trovano nelle feci) di ogni altro ambiente ed oggetto, potendo altresì offrire dimora a microrganismi patogeni come Campylobacter spp. (responsabile di sindromi diarroiche anche gravi), Enterobacter cloacae (infezioni), Escherichia coli (infezioni anche gravi), Klebsiella spp. (infezioni anche gravi), Proteus spp., Salmonella spp. (sindromi diarroiche e tifo addominale), e Staphylococcus spp.(infezioni della cute e dei tessuti molli).
Sono stati proposti numerosi metodi per mantenere basso il numero di batteri presenti nelle spugne da cucina come il trattamento all’interno del microonde o sotto raggi UV o il trattamento con agenti chimici come la candeggina; tuttavia benché in laboratorio i risultati siano apparsi promettenti non vi è stato un riscontro pratico, infatti con metodi casalinghi la riduzione della carica batterica non andava oltre il 60%. Inoltre è stato evidenziato come le spugne cosi contaminate non solo fungano da serbatoi microbici ma rappresentino i veicoli per la contaminazione di altre superfici.
Lo studio di Cardinale e colleghi ha preso per la prima volta in considerazione le popolazioni microbiche attive sulla superficie e all’interno delle spugne con un approccio “coltura-indipendente”, ovvero i microrganismi non sono stati coltivati su appositi terreni ma bensì ne è stato ricercato un frammento del loro materiale genetico.
Le conclusioni non sono incoraggianti infatti se già era chiaro che la riduzione della carica batterica con metodi tradizionali appariva insufficiente, questo studio ha messo in evidenza anche la possibilità che la sanitizzazione rappresenti un vantaggio selettivo per i batteri potenzialmente pericolosi. L’unica soluzione certa appare essere la sostituzione delle spugnette da cucina a cadenza settimanale.
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