sabato 8 settembre 2018

PROCESSIONI E ANNEBBIAMENTO DELLA MORALE: " 'a festa i maronna"

E’ tempo di processione, di processioni; la mia, immerso nel ventre della natura, in quell'Aspromonte erto, arido, brullo alla ricerca di un sentiero scomparso, un piccolo corso d’acqua, una rupe non si è fatta, rimandata per un improvviso impedimento.

Cedo e decido di prendere parte ai festeggiamenti della patrona; parcheggio distante, pronto alla fuga. Mi immergo in un mondo “nuovo”, in realtà vecchio e uguale a se stesso da anni, un mondo lontano dal profumo del faggio, della terra bagnata, dall'abete o del muschio, un mondo di fumi tossici che esalano da calderoni a cielo aperto, gozzovigli ad ogni angolo, frenesia del correre, dell’esserci ad ogni costo, teatrino di miseri commedianti vestiti di stracci fatti passare come abiti d’alta moda. Collane di finti ori rilucenti degni del peggiore mercatino d’accattoni. Profumi scadenti. Uomini donne, nella peggiore accezione del termine. Apologia della cafonaggine. Mi fermo ai margini, aspetto il passaggio, rendo grazie tra orde impazzite di telefonini selvaggi che assalgono l’effige in una violenza della morale della fede. Mi accorgo di essere il solo a non aver sfoderato il cellulare. Due uomini di mezza età si spingono, si insultano, davanti alla vara, si contendono il posto migliore per una delle tante foto sfocate e inutili che verranno scattate (ma per farle vedere a chi?). Un’enorme allegoria di perdizione del pensiero e della ragione. E’ questo quello che è diventato un tributo di ringraziamento?

E io rifuggo con la mente tra le mie montagne, tra i pascoli e i terrazzamenti da cui si vede il mare, tra i profumi del gelso e del castagno, tra i coltivi di fragole e le distese di ciliegi, sul Tracciolino, i piani di Carmelia, le due Fiumare, lì voglio passare il mio tempo libero, è lì che rinasco, è quel grembo che mi partorisce nuovo ogni volta. Non c’è violenza nelle effigi della natura. Abbasso il capo e mi allontano, ho il cuore cupo.

Sul sentiero per Polsi

lunedì 3 settembre 2018

Erranza - Cavagrande del Cassibile

Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato ma non pensavo così presto. La natura esige un pegno, mi piace considerarlo così, un tributo per farsi ammirare, per farsi penetrare sin nel profondo. Cavagrande del Cassibile strega, ammalia, affascina, riduce la tua prudenza, ti riduce a nulla in mezzo a quel tutto. È un orgasmo di colori, dal cobalto che sfuma in turchese, dal mirto al giada rilucente di giallo; ci si inebria di colori nel Cassibile che logora le sponde bianche violentate da una sottile trama venosa di antracite. Cassibile è lo spazio, è il tempo che si ferma, ridonda mai uguale a sé stesso. Penetriamo, ubriacandoci di bellezza e ce ne ingozziamo in un gozzoviglio di luci, ombre, bianchi e neri, lontano dal fragore della ressa delle pozze principali. Siamo nel grembo fecondo di quella che è stata la dimora in vita di popoli estinti e il giaciglio eterno dei loro resti sepolti nelle necropoli, scavate a mano nella roccia. Mi sdraio sotto un lentisco e torno in vivo, la mia musica è il frinire delle cicale, ininterrotto. Mi emoziono. Durante le mie erranze ricevo sempre tanto, muschi, oleandri, euforbie, raganelle, libellule, colori, deliri tutto penetra in me come io penetro nel ventre della natura e ne vengo accolto, divento feto e rinasco, nuovo, pronto per la mia prossima settimana inurbata. Ieri ho pagato pegno, come ogni tanto accade. Queste saranno le ultime foto che vedrete scattate dalla mia fedele compagna di viaggio, Olympus OM-D…alle fotocamere non piace l’acqua. 







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Per ogni emozione provata devo ringraziare il GEA Gruppo Escursionisti d'Aspromonte, senza il quale probabilmente starei inurbato più del necessario.